Nei giorni scorsi è stato dato l’ultimo saluto a Domenico De Leo, residente a Cosenza ma originario di Siderno, località che aveva lasciato nei primi anni settanta, per dare un respiro più ampio alla sua attività di commerciante all’ingrosso di biancheria.

Era appena quattordicenne  quando,  nel 1938,  con appena 140 lire  di merce inizia la sua avventura nel mondo del lavoro, manifestando da subito la sua grande passione per quanto stava facendo. Una passione autentica, sempre in crescendo, sostenuta da un autentico spirito imprenditoriale e  da uno spiccato senso pioneristico, che si è tradotta negli oltre 75 anni di storia della Ditta “De Leo Domenico”.

Gli inizi non sono stati certamente facili, ma il coraggio e la determinazione di questo giovane

ambulante, munito di una bicicletta che,   pedalando senza sosta, gira  il suo paese per  vendere qualcosa, hanno la meglio. Ed ecco che nell’ agosto del 1941 può finalmente permettersi un abbonamento con il treno, per  uscire da schemi troppo ristretti e assecondare la sua voglia di progresso.

Nel 1948, con alcuni suoi cugini, apre un negozio a Siderno; ma nel 1950 decide di aprire un negozio tutto suo e sceglie come paese Stilo, che già aveva avuto modo di conoscere quando girava come ambulante.

Lì incontra la donna della sua vita, Alfonsina Pacetta. Una donna straordinaria per bontà e umanità, che ha sempre seguito il marito, non facendogli mai mancare il suo appoggio in tutte le iniziative che egli ha intrapreso.

Se, come si dice, dietro a un grande uomo  c’è sempre una grande donna, questo è quanto mai vero per Domenico De Leo. Sicuramente sua moglie ha giocato un ruolo molto importante  nel far sì che egli potesse concretizzare le sue inclinazioni, professionali e umane,  ed essere il signore con la “S” maiuscola, che tutti ricordano.

I due vanno a vivere a Bivongi, dove  trasferiscono anche il negozio. Ma nel 1955 egli  ritorna a Siderno.

Il negozio,   gestito in maniera amabile anche dalla moglie,  diventa sempre più  grande e la clientela più numerosa. Inizia, quindi, l’attività di grossista.  Negli  anni ’60 , con un suo collaboratore si sposta anche nella provincie di Catanzaro e Cosenza iniziando a vendere ai dettaglianti.

Poteva ritenersi soddisfatto perché l’attività  andava bene e la sua posizione era già abbastanza agiata. E invece no, perché la persona intelligente sa che, se possibile, bisogna fare e dare sempre di più. E lui, dimostrando una grande lungimiranza, nel 1968,  cede  la sua avviata attività al cognato Antonio Commisso e, senza esitazioni,  lascia Siderno  e si trasferisce a Cosenza, dapprima,  e a Rende , poi,  ripartendo quindi   daccapo  in  una città e in  un ambiente completamente nuovi.

Anche a Cosenza   il suo impegno e la sua dedizione nel lavoro vengono premiati. Diventa  un  punto di riferimento importante per i commercianti a dettaglio della regione,    un grossista stimato, apprezzato da agenti di commercio, industriali e colleghi per la sua onestà, la sua gentilezza, la sua signorilità.

A coronamento di questa sua dedizione e impegno nel lavoro,  arriva nel 2012  il titolo di Maestro del Lavoro, insignito dalla Confesercenti di  Cosenza.

Egli ha curato i suoi affari fino agli ultimi giorni della sua vita; lasciava il negozio solo le ore necessarie a sottoporsi al trattamento di dialisi. Ciò testimonia anche il grande coraggio di quest’uomo che, come un guerriero indomito, non si lasciava intimorire dalle prove della vita, ma si piegava solo per poco, riemergendo subito, più combattivo di prima.

Una personalità  forte, di rara bellezza, autentica che, come una medaglia preziosa,  si componeva di due facce diverse ma, allo stesso tempo, identiche:  lucidità e  passione per il lavoro, lucidità e passione per  l’uomo.

 

E da qui  la sua grandezza: aver capito che non bisogna essere schiavi del denaro, ma rendere il denaro  “schiavo” dell’uomo, usarlo per  se stesso sì,  per  condurre una vita più agiata, ma anche per far stare bene gli altri, incrociando i loro bisogni  e  aiutandoli ogni qualvolta è stato ed è possibile.

La persona, prima di tutto. E, quindi,  rispetto e amore verso gli altri, siano essi i dipendenti, i clienti, i familiari, gli amici  o il prossimo sconosciuto. Rispetto  non formale ma derivante dalla sincerità dei sentimenti.

Discreto, egli ha  vissuto i rapporti umani sempre in punta di piedi, con signorilità, preoccupandosi   di non dare fastidio a nessuno;   con costanza e affidabilità;  scevro da ogni opportunismo; sempre presente, nelle occasioni liete  e in quelle meno liete,  e non per formalismo ma perché aveva  fatto propria  quella bella frase di John Donne che dice “nessun uomo è un’isola. Non chiederti mai per chi suona la campana: essa suona anche per te”.

Poi, altruismo, generosità, dare senza sapere di ricevere. Ha  fatto tanto per tanti; non ha mai negato il suo aiuto a nessuno; ha dato senza mai vantarsi, in silenzio; ha usato per il bene comune i doni che aveva ricevuto.

Ultimo tassello di questo mosaico che esprime  la  personalità di Domenico De Leo, è la Fondazione “De Leo – Pacetta” da lui fortemente voluta per la popolazione di Stilo, in memoria della moglie, inaugurata il 16 dicembre 2012. In realtà egli ha sempre dichiarato che anche se  con il corpo viveva  a Cosenza il suo cuore è sempre rimasto nel reggino. Un attaccamento alla terra di origine  che non è  provincialismo, ma affetto di chi sa che il cuore ha il primo posto nella vita. La mentalità deve essere aperta, tollerante, cosmopolita,  perché siamo cittadini del mondo, ma l’azione deve essere locale e le radici, la memoria storica sempre vivi,  per  dire al mondo chi si è e da dove si viene.

Nella città di Tommaso Campanella la  Fondazione “De Leo-Pacetta” fornisce   un servizio rivolto alla cura e l’assistenza delle persone più bisognose, in particolare degli anziani e di coloro che devono sottoporsi a dialisi negli ospedali della ziona.

 

Questa sensibilità verso il prossimo non era soltanto filantropia, ma anche consapevolezza che c’è qualcuno di superiore a tutto a cui rendere conto e che “passa la scena di questo mondo”.

I suoi erano  sentimenti puri.  Nonostante gli anni  ha saputo conservare la purezza di un bambino,  nel cuore e nella mente. Capace di stupirsi, di meravigliarsi davanti alle cose nuove che si presentavano ai suoi occhi, possedeva  quella che S. Agostino chiama,  “…la gioia ignorata dagli empi, ma che tu Signore dai a chi ti serve generosamente”. In realtà, nel servire gli altri, ha saputo servire  il Signore generosamente.

Con la sua passione nel fare, e la altrettanto gioia nel donare può essere considerato un esempio perfetto  di come  realizzare  pienamente il disegno   di Dio sull’uomo.

Egli  è certamente  un modello da imitare, un modello per i nostri giovani, spesso smarriti, alla ricerca di emozioni forti per superare il vuoto che  avvertono fuori e dentro di loro. Un modello di come la grandezza non sia nell’avere ma nell’essere. Nell’essere il custode, il testimone e l’espressione di valori e modi di essere autentici; il guardiano di doni ricevuti e che bisogna far fruttare al meglio, per il bene di tutti.

 

L’eredità che lascia è impegnativa.  Sicuramente i due figli, Carmen e Giuseppe, con i rispettivi consorti e i nipoti tutti sapranno rendere onore alla sua memoria, alla memoria di un uomo che ha percorso un cammino lungo e faticoso, quale è la vita, non nelle tenebre,  ma nel chiaro di una   luminosa e illuminante interiorità,  in pace con gli altri,  che ha fino in fondo adempiuto al suo dovere di uomo e che ora, addormentandosi per sempre, con la  bellezza della sua anima  nella quale risiede il grande valore della sua umanità,  può andare tranquillo incontro a Colui che è tutto luce e godere della Sua gloria.